Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

Aurelio Ferrando “Scrivia”, comandante partigiano

In un clima sempre più incandescente, il Consiglio Federale, che si tenne a Roma il 24 giugno 1966, pose Argenton in minoranza, non elesse Martini Mauri, che si dimise polemicamente, ma scelse come nuovo presidente Aurelio Ferrando, intrepido comandante partigiano in Liguria e per lunghi anni segretario generale della F.I.V.L., affiancato dai vicepresidenti Alessandro Canestrari e Virginio Bertinelli, parlamentare e ministro del Partito Socialista Democratico Italiano.

Rispetto al suo predecessore, Ferrando assunse nei confronti della guerra del Vietnam una posizione molto più cauta e meditata: attraverso «Europa Libera», egli diede larga informazione sulle iniziative per una soluzione politica della guerra in corso, capace di salvaguardare sia la libertà del Vietnam del Sud che il prestigio dell’America. Intanto, in occasione della primavera di Praga, nell’agosto 1968, si registrò ancora una reazione unanime da parte delle associazioni federate: presi contatti con la Federazione Partigiani di Praga, furono accolti e assistiti intellettuali e operai cecoslovacchi e fu cercato loro un lavoro in Italia.

Forte della ritrovata unità, al Consiglio Federale che si tenne nella primavera del 1970, il presidente Ferrando potè delineare una nuova strategia complessiva per la Federazione:

È indubbio che il nostro paese sta attraversando un periodo difficile e decisivo per tutti: crisi di trasformazione, evoluzione tecnica, morale. Non possiamo nasconderci che si va diffondendo un pericoloso senso di sfiducia nello Stato e nei metodi democratici che per noi sono i soli perseguibili per il raggiungimento pacifico ed ordinato dei problemi sociali che ci travagliano e per il rinnovamento degli attuali ordinamenti civili, ormai superati ed insufficienti.

Sarebbe ingiusto e demagogico ignorare le enormi difficoltà della ricostruzione della nostra nazione distrutta e tradizionalmente povera di tutto, e i conseguenti grandi meriti degli uomini che l’hanno realizzata: ma non possiamo nasconderci che si poteva e si doveva fare di più, che la nostra classe politica è andata lenta, ha tradito le attese, non ha avuto il coraggio necessario per tagliare col passato, per rompere il cerchio soffocante di una burocrazia statale, inefficiente, involuta, proterva, insensibile alle esigenze dei tempi nuovi[15].

Sulla base di questa presa di distanza dalla “classe politica”, Ferrando spiegò come, a suo avviso, i partigiani dovessero entrare nella terza fase della loro attività: dopo la prima fase, quella della Resistenza armata, nella seconda fase essi avevano impedito che la Resistenza fosse ipotecata dai partiti politici fino a divenirne strumento, «ora il compito principale delle associazioni, quello appunto della terza fase, doveva consistere nelle celebrazioni, nelle commemorazioni, nella raccolta di documenti, nell’acquisizione di archivi, nella pubblicazione di saggi, di biografie, affinché la memoria storica collettiva del popolo non si appannasse e finisse per non riconoscere più nella Resistenza la matrice della sua storia più recente»[16]. Nella votazione finale, Ferrando fu riconfermato alla presidenza, con Canestrari e Roberto Salvi alla vicepresidenza, ma molti delegati non accolsero favorevolmente questo approccio, sostenendo che la Federazione doveva essere maggiormente collegata al mondo dei partiti ed in particolare alla Democrazia Cristiana.

In tale contesto, già segnato dalla ripresa dei contrasti, pochi mesi dopo esplose la vicenda Sogno: il conte Edgardo Sogno Rata del Vallino, medaglia d’oro al Valor Militare per la Resistenza, aveva intrapreso la carriera diplomatica; rientrato in Italia nel 1971, si era iscritto all’A.V.L. della Lombardia e puntava alla presidenza della F.I.V.L. per «superare il periodo di emergenza che si sta preparando a causa del lungo silenzio delle forze partigiane non comuniste ed arrivare a mobilitare l’opinione pubblica contro la violenza dei fascisti e dei comunisti»[17]. L’A.V.L. della Lombardia ed altre associazioni chiesero che entro la primavera del 1972 si tenesse a Roma il Consiglio Federale della F.I.V.L. e presentarono la candidatura alla presidenza di Sogno, in un momento storico fortemente contrassegnato dalla strategia della tensione e dall’emergenza terroristica. Forte del suo carisma e dei molti consensi che andava raccogliendo attorno al suo progetto di modificare la Costituzione e dar vita ad una repubblica presidenziale, la scalata di Edgardo Sogno ai vertici della F.I.V.L. travolse rapidamente la presidenza Ferrando e trovò un concorrente di pari levatura solo nella robusta personalità di Paolo Emilio Taviani, fortemente sostenuta dal sen. Giovanni Marcora, già vice comandante del Raggruppamento divisione Fratelli Di Dio sui monti dell’Ossola ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana.