Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

Storia della Federazione Italiana Volontari della Libertà

 

Premesse

Alla fine del 1942, la “guerra fascista”, che era stata annunciata breve e vittoriosa, durava ormai da anni ed era segnata drammaticamente da impreparazione ed improvvisazione; la gran parte degli italiani non crede più ai discorsi sull’immancabile vittoria delle forze dell’Asse e sull’infallibilità di Mussolini e passa rapidamente da un atteggiamento di distacco ad un rifiuto vero e proprio del regime che li aveva guidati ed illusi per oltre vent’anni, spinta dall’intensificarsi dei bombardamenti alleati, e dalla totale incapacità del regime di garantire un minimo di difesa alla popolazione, e dai razionamenti alimentari del tutto insufficienti, che obbligavano a cadere nelle grinfie del mercato nero per non morire di fame. Nel disorientamento generale, la voce autorevole di Pio XII indica dei punti di riferimento forti:

[…] Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società umana, collabori al sorgere di una concezione e prassi statale, fondate su ragionevole disciplina, nobile umanità e responsabile spirito cristiano; aiuti a ricondurre lo Stato e il suo potere al servizio della società, al pieno rispetto della persona umana e della sua operosità per il conseguimento dei suoi scopi eterni; si sforzi e adoperi a sperdere gli errori, che tendono a deviare dal sentiero morale lo Stato e il suo potere e a scioglierli dal vincolo eminentemente etico, che li lega alla vita individuale e sociale, e a far loro rinnegare o ignorare praticamente l’essenziale dipendenza, che li unisce alla volontà del Creatore; promuova il riconoscimento e la diffusione della verità, che insegna, anche nel campo terreno, come il senso profondo e l’ultima morale e universale legittimità del «regnare» è il «servire» […][1].

Le parole del Sommo Pontefice trovano ampia eco soprattutto nel mondo cattolico, come rievoca uno dei dirigenti dell’Azione Cattolica bolognese, Angelo Salizzoni:

Ce ne era abbastanza perché i cattolici aprissero definitivamente gli occhi. La lezione fu ben compresa dalla gioventù di Azione Cattolica che, nel gennaio 1943, convocò a Roma un convegno nazionale per lo studio del messaggio pontificio (uno dei relatori era il professor Giorgio La Pira)[2].

Gli stessi argomenti arrivano ad un urto sempre più evidente con il regime totalitario, i suoi principi, i suoi metodi e le sue tragiche conseguenze e poche settimane prima del 25 luglio e della caduta del fascismo, in un convegno degli assistenti ecclesiastici di Azione Cattolica provenienti dalle varie diocesi italiane, Paolo Emilio Taviani, futuro presidente della F.I.V.L., traccia in termini precisi le linee della strategia da seguire:

Spetta a noi cattolici, che crediamo nella democrazia e dei principi sociali, una grande responsabilità raccogliere l’eredità del fascismo. La resistenza al fascismo, più che come un desiderio, si impone come una realtà[3].

Certamente la spinta ideale suscitata dalle parole del papa e la consapevolezza espressa da Taviani non si traducevano immediatamente in un’organica visione politica e in un’organizzazione operativa paragonabili a quelle delle forze comuniste o socialiste, che avevano alle spalle una lunga esperienza di lotte e confino, ma gli eventi bellici che colpirono profondamente la nazione nel corso dell’estate 1943 determinarono un repentino salto di qualità ed un’altrettanto rapida maturazione delle coscienze.