Nel primo Consiglio Federale, che si tenne a Milano dal 26 al 29 settembre 1949, venne riconfermato alla presidenza il gen. Raffaele Cadorna, che era già stato designato alla guida della Federazione nella riunione costitutiva dell’anno precedente; alla vicepresidenza, furono eletti Enrico Mattei e la medaglia d’oro al Valor Militare per la Resistenza Enrico Martini Mauri, a rimarcare la forte continuità con lo spirito che aveva guidato le formazioni autonome nella fase più difficile e tragica della Resistenza.
Prima dei gravi scontri di Genova del 30 giugno 1960, che si estesero rapidamente al resto del paese e decretarono la fine del governo Tambroni, il Consiglio Federale della F.I.V.L., riunitosi a Torino del 25 maggio 1960, prese atto delle dimissioni di Cadorna ed elesse Enrico Mattei alla presidenza, confermando Martini Mauri alla vicepresidenza.
La forte personalità di Mattei traspare chiaramente nel discorso che Mattei fece a Firenze il 25 aprile 1961: “La libertà, prima di essere l’essenza della vita politica, è una virtù interiore, una prerogativa dello spirito, che si conserva e si potenzia con vigilanza incessante e con rigore morale. Se allarghiamo lo sguardo ad altre terre, noi vediamo, da un lato, un grande Paese come la Francia sconvolto da un rigurgito di forze fasciste, che troppo a lungo sottovalutate o tollerate, sono ormai in grado di minacciare seriamente non solo la compagine di quella terra, ma gli stessi valori fondamentali di libertà e di democrazia propri della nostra civiltà, dall’altro lato vediamo popoli al di là dei mari, che ancora oggi lottano per la libertà. Noi ci sentiamo ad essi vicini, appunto perché la nostra esperienza ci ha reso particolarmente sensibili a questo dovere di comprensione umana. […]
Nel culto della libertà, noi auspichiamo, secondo giustizia, riforme sociali coraggiose, che progressivamente sopprimano i privilegi e restringano sempre di più, fino ad eliminarla, l’area della miseria. […] La nostra Federazione di volontari della libertà, profondamente convinta di questa necessità, riconferma solennemente che solo negli ideali che ispirarono la Resistenza trova fondamento quella società più giusta che si vuole edificare. Per questo essa ha presentato alla discussione della prossima assemblea mondiale degli ex-combattenti, che avrà luogo a Parigi l’8 maggio, una risoluzione nella quale, contro ogni forma di imperialismo e di colonialismo, si auspica quella collaborazione con i popoli afro-asiatici che è “nello spirito delle loro aspirazioni all’indipendenza, alla libertà ed al progresso sociale, premesse fondamentali per la pacifica e civile evoluzione del mondo futuro”.
Le forze dell’immobilismo politico alleate dei privilegi economici, con la comoda mentalità dei conservatori di tutti i tempi, gridano contro lo spirito di ribellione. Essi sono ribelli, o amici partigiani, è vero, come lo siamo stati noi quando fummo costretti a ribellarci contro la ingiustizia, la prepotenza, la sopraffazione”.
Il 27 ottobre 1962, Mattei muore nella sciagura aerea di Bascapè; il vicepresidente Enrico Martini Mauri lo sostituisce fino al Congresso Federale, che si tiene a Milano del 25 maggio 1963 con l’elezione di Mario Argenton. Un articolo pubblicato sul periodico ufficiale della F.I.V.L. «Europa Libera» nel luglio 1964 riprende il discorso di Argenton al Consiglio Federale: “La Resistenza rappresenta per noi volontari della libertà il cemento unitario dell’Europa. E quale Europa avrebbe potuto sorgere dalle rovine, dagli odi, dai lutti della seconda guerra mondiale senza l’apporto del più forte popolo europeo, il popolo tedesco? […]
Poiché nella continua esaltazione comunista della Resistenza c’è proprio questo recondito fine: espungere la Germania dalla comunità dei popoli europei, impedire l’unione dell’Europa. L’Europa divisa è una serie di capisaldi da conquistare con la violenza o con l’astuzia da parte del comunismo: l’Europa unita sarà una fortezza imprendibile. I nostri occhi, ormai offuscati e stanchi dalla propaganda, non riescono più a percepire quanto scaturisce dal nostro autentico sentire e quanto ci viene di lunga mano da una propaganda orchestrata da Mosca: la paura dei sovietici diventa la nostra paura, le loro ragioni si fanno le nostre, il loro odio atavico diventa nostro e, di riflesso, il nostro europeismo si riduce ad una esercitazione verbale, nutrendosi di antichi sospetti e di ben note ripugnanze.
La resistenza europea invece fu un rifiuto al nazismo, non un rifiuto alla Germania”.
Il Consiglio Federale, che si tenne a Roma il 24 giugno 1966, pose Argenton in minoranza e scelse come nuovo presidente Aurelio Ferrando, intrepido comandante partigiano in Liguria e per lunghi anni segretario generale della F.I.V.L., affiancato dai vicepresidenti Alessandro Canestrari e Virginio Bertinelli, parlamentare e ministro del Partito Socialista Democratico Italiano.
Nel Consiglio Federale che si tenne nella primavera del 1970, il presidente Ferrando potè delineare una nuova strategia complessiva per la Federazione: “È indubbio che il nostro paese sta attraversando un periodo difficile e decisivo per tutti: crisi di trasformazione, evoluzione tecnica, morale. Non possiamo nasconderci che si va diffondendo un pericoloso senso di sfiducia nello Stato e nei metodi democratici che per noi sono i soli perseguibili per il raggiungimento pacifico ed ordinato dei problemi sociali che ci travagliano e per il rinnovamento degli attuali ordinamenti civili, ormai superati ed insufficienti.
Sarebbe ingiusto e demagogico ignorare le enormi difficoltà della ricostruzione della nostra nazione distrutta e tradizionalmente povera di tutto, e i conseguenti grandi meriti degli uomini che l’hanno realizzata: ma non possiamo nasconderci che si poteva e si doveva fare di più, che la nostra classe politica è andata lenta, ha tradito le attese, non ha avuto il coraggio necessario per tagliare col passato, per rompere il cerchio soffocante di una burocrazia statale, inefficiente, involuta, proterva, insensibile alle esigenze dei tempi nuovi”.
Nella primavera del 1972, la scalata di Edgardo Sogno ai vertici della F.I.V.L. travolse rapidamente la presidenza Ferrando e trovò un concorrente di pari levatura solo nella robusta personalità di Paolo Emilio Taviani, fortemente sostenuta dal sen. Giovanni Marcora, già vice comandante del Raggruppamento divisione Fratelli Di Dio sui monti dell’Ossola ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana. L’autorevole parlamentare di tredici legislature, che era stato tra i fondatori della Dc e, per molto tempo, fra gli uomini che ne stabilivano la linea, plasmò altrettanto fortemente la Federazione, ma sempre tenendo presente quanto aveva detto poche settimane prima di morire, ricordando al Senato la prima seduta della Costituente, alla quale aveva preso parte: «Dopo la dura lotta contro l’invasione nazista, si doveva rinnovare la struttura dello Stato: costituire la Repubblica. Fu allora che sancimmo, nella prima parte della Costituzione, tre valori fondamentali ed essenziali dello Stato democratico: la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà».
Nata a Pieve di Cadore il 23 agosto 1923, è stata partigiana combattente nelle file della brigata Osoppo col nome di Renata (in ricordo del fratello ucciso a Tomezzo il 25 aprile 1944 durante un’azione di attacco ad una caserma della milizia fascista) ed è stata insignita della Medaglia d’oro al valor militare.
Paola Del Din entrò nella Resistenza subito dopo l’8 settembre 1943. Assieme al fratello Renato, di un anno più vecchio di lei, fu tra i fondatori delle Brigate “Osoppo-Friuli”. Incaricata di portare documenti oltre le fila nemiche, riuscì ad arrivare a Firenze e per tornare al nord decise di addestrarsi come paracadutista nella base inglese di San Vito dei Normanni in Puglia. Grazie all’addestramento passò numerose volte il fronte, sempre paracadutata al nord, portando notizie preziose e restando ferita. Tornò in seguito a combattere nella Osoppo fino alla Liberazione, rifiutando di prendere i gradi nell’esercito inglese e ottenendo la liberazione del padre Prospero, ufficiale degli Alpini prigioniero degli inglesi in India.
La motivazione della medaglia d’oro assegnatale ricorda che “Dopo aver svolto intensa attività partigiana nel Friuli nella formazione comandata dal fratello, ad avvenuta morte di questi in combattimento, viene prescelta per portare al Sud importanti documenti operativi interessanti il Comando alleato. Oltrepassate a piedi le linee di combattimento dopo non poche peripezie e con continuo rischio della propria vita e ultimata la sua missione, chiedeva di frequentare un corso di paracadutisti. Dopo aver compiuto ben undici voli di guerra in circostanze fortunose, riusciva finalmente, unica donna in Italia, a lanciarsi col paracadute nel cielo del Friuli alla vigilia della Liberazione. Nel corso dell’atterraggio riportava una frattura alla caviglia e una torsione alla spina dorsale, ma nonostante il dolore lancinante, la sua unica preoccupazione era di prendere subito contatto con la missione alleata nella zona per consegnarle i documenti che aveva portato con sé. Negli ultimi giorni di guerra, benché claudicante, passava ancora ripetutamente le linee di combattimento per recapitare informazioni ai reparti alleati avanzanti. Bellissima figura di partigiana seppe in ogni circostanza assolvere con rara capacità e virile ardimento i compiti affidatile, dimostrando sempre elevato spirito di sacrificio e sconfinata dedizione alla causa della libertà”.
Nativo di Milano, nel quartiere di Porta Genova, Ermes Gatti prima della Seconda guerra mondiale lavorò in un’azienda tessile. Fu soldato in Albania e in Sicilia, ove contrasse la malaria, per curare la quale fu ricoverato all’ospedale militare di Arpino. L’8 settembre del 1943 lo colse lì, deperito nel fisico ma assai determinato. Si firmò una licenza di convalescenza, raggiunse Roma ed alla stazione Termini, controllata dai tedeschi e piena di soldati italiani prigionieri, costretti a salire su un treno per la Germania, riuscì a salire su un vagone diretto a Milano. Nascosto sotto un sedile, raggiunse il capoluogo lombardo devastato dai bombardamenti e ritrovò la famiglia. Subito maturò la decisione: non avrebbe risposto alla chiamata per l’esercito della Repubblica Sociale. Cominciarono i primi contatti con i movimenti della Resistenza e, insieme ad un cugino Ledy, Gatti si unì ad un gruppo di bersaglieri sui monti di Gallarate, scioltosi dopo un’offensiva tedesca. I due ripararono sul lago Maggiore e poi in Svizzera, con l’aiuto dei contrabbandieri. Quindi l’avventuroso ritorno in Italia, attraverso la Valtellina, e l’approdo sul territorio bresciano, nel luglio del 1944. Fu in Valcamonica, sul Mortirolo, che Gatti partecipò alla sua prima azione partigiana nel gruppo delle Fiamme Verdi. Da lì scese a valle per raggiungere la caserma della Guardia di Finanza di Grassotto, dove, insieme al cugino Ledi e ad altri cinque, prelevò armi e scorte alimentari. Seguirono altre azioni simili, consistenti nel disarmare i nemici e nel realizzare attentati a centrali e linee elettriche. In seguito, dal 10 al 29 aprile del 1945, partecipò alla durissima battaglia del Mortirolo, 220 Fiamme Verdi contro duemila fascisti supportati dai mortai tedeschi. Dopo un ultimo scontro a fuoco con i tedeschi, Gatti con la sua Brigata Schivardi raggiunse Edolo, dove stabilì il comando. Ai piedi aveva gli scarponi regalatigli mesi prima da una bella ragazza incontrata per strada. L’avrebbe rincontrata dopo pochi giorni e Gina Perlotti, coraggiosa partigiana, sarebbe diventata sua moglie nel novembre di quello stesso anno. Dopo la guerra Ermes Gatti cominciò il suo impegno nella vita pubblica, tra incarichi amministrativi e testimonianza civile. Insieme al generale Romolo Ragnoli, a don Carlo Comensoli e a Dario Morelli fondò l’Associazione “Fiamme Verdi”, di cui fu presidente provinciale per oltre un ventennio. Con infaticabile energia, da protagonista divenne testimone e divulgatore della memoria resistenziale nel nome delle “Fiamme Verdi” e della FIVL, di cui fu presidente dal giugno 2008 fino alla morte, sopraggiunta all’età di 86 anni, il 28 dicembre 2008.
Guido De Carli, nato a Cornaredo nel 1923, trasferito presto a Cuggiono, è uno dei ragazzi di Don Albeni, splendida figura di sacerdote educatore alla libertà, coadiutore dell’oratorio che ha indirizzato allevato una schiera di resistenti: Angelo e Pinetto Spezia, Bruno Bossi, Gianangelo Mauri, Giovani Marcora.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si costituiscono tra Cuggiono e Inveruno e zona i primi gruppi partigiani: tra questi esponenti anche Guido, che sarà un importante figura all’interno delle neonate formazioni, che appena organizzate diventeranno la Gasparotto (e la Ticino per stare solo in zona). Formazioni al piano, di supporto logistico e organizzativo alla Resistenza: salgono i giovani a Pian Cavallo (per indicazione di Nino Chiovini, residente a Cuggiono ma proveniente da là) e poi in Val d’Ossola e Val Toce: frequenti continui scambi anche con Busto, dove Luciano Vignati tiene le redini ed il collegamento di tutta la Resistenza. Guido funge da staffetta–coordinatore, in quanto essendo minuto e un po’ cagionevole viene ricoverato nella casa di cura a Miazzina, ma deve effettuare analisi e verifiche all’ospedale di Busto Arsizio. Ottiene così un lasciapassare di potersi muovere liberamente dalla Val Grande a Busto. Il suo soprannome partigiano è Ranin (ranetta), ragazzo esile. L’imprimatur della Resistenza lo porterà ad impegnarsi per tutta la vita a favore degli ideali e dei valori di libertà e di pace. Nel settembre 1963 Giovanni Marcora e Luciano Vignati fondano il Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio, per dare seguito all’esperienza nata come movimento militare nel dicembre 1944. E qualche anno dopo la modifica dello statuto del 1987, Guido succede a Cesare Bettini alla presidenza del Raggruppamento. Presidenza che terrà ininterrottamente fino al febbraio 2017. Ma il suo impegno è anche impegno civile: assessore a Cuggiono, poi membro della direzione provinciale scudocrociata, economo all’Ospedale; negli anni ’60 è assessore a Turbigo e nel 1967 è segretario generale dell’ospedale di Bollate: nel 1992 è nell’ufficio di segreteria del presidente della Regione Lombardia Giuseppe Guzzetti. Alla morte di Marcora, nel 1983, saranno i partigiani della Gasparotto a portare il feretro: Guido è in prima fila, e sarà in prima fila per decenni come testimone attivo a tutte le manifestazioni organizzate dal Comune di Inveruno e dal Centro Studi Marcora: i vari premi europei, le ricorrenze degli anniversari, la presentazione di libri, le inaugurazione: lui e i suoi fazzoletti azzurri sempre numerosi e orgogliosi col loro medagliere onusto di riconoscimenti.
Dopo la scomparsa di Taviani, furono numerosi i presidenti che si successero al vertice della F.I.V.L., a dimostrazione della difficoltà di individuare una figura altrettanto forte ed autorevole: prima Gerardo Agostini, il senatore del Partito Popolare Italiano eletto nell’aprile del 1996, che successe a Taviani e guidò la Federazione fino al 2004, per aderire poi all’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, costituitasi nel 2006, e staccarsi polemicamente dalla F.I.V.L.. Gli successe la medaglia d’oro al Valor Militare Paola Del Din, dell’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli, che resse la Federazione fino al 2008, quando il Consiglio Federale scelse alla presidenza Ermes Gatti, delle Fiamme Verdi di Brescia, ed alla vicepresidenza il ligure Lelio Speranza e Guido De Carli, del Raggruppamento Alfredo Di Dio di Busto Arsizio; quest’ultimo subentrò alla guida della F.I.V.L. dopo la scomparsa di Gatti, avvenuta a pochi mesi di distanza dall’elezione. Lo stesso Consiglio Federale che elesse De Carli, confermò alla vicepresidenza Lelio Speranza ed elesse alla stessa carica don Aldo Benevelli, dell’Associazione Partigiana Ignazio Vian di Cuneo. Guido De Carli resse le sorti della F.I.V.L. fino al luglio 2016, quando venne confermato alla vicepresidenza Lelio Speranza a fianco di Carlo Scotti, esponente del Raggruppamento Autonomo Padano di Voghera, e venne eletto l’attuale presidente, Francesco Tessarolo, il primo presidente federale che non aveva partecipato alla Resistenza, nel segno di un inevitabile avvicendamento generazionale, esplicitamente voluto per rafforzare la F.I.V.L. di fronte alle nuove sfide della società ed ai profondi cambiamenti culturali che la caratterizzano.
Il 26 novembre 2022 Francesco Tessarolo ha passato il testimone a Roberto Tagliani, delle Fiamme Verdi di Brescia, per continuare il percorso intrapreso nella testimonianza dei valori e della storia della F.I.V.L. alle nuove generazioni.