Cornelio Fornasari (Gugia) nel ricordo di Emanuele Gallotti

Riceviamo da Emanuele Gallotti di Pavia, già vicepresidente nazionale dell’APC-Associazione Partigiani Cristiani e già consigliere nazionale FIVL, lo scritto che qui sotto volentieri pubblichiamo, nel ricordo del “ribelle per amore” Cornelio Fornasari (Gugia).

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MORTE DI UN SANTO, DI UN RIVOLUZIONARIO E DI UN EROE
A PROPOSITO DELL’EDIZIONE DEL MANOSCRITTO DI CORNELIO FORNASARI (GUGIA)

È stato pubblicato nell’aprile 2021, a cura dei familiari, il manoscritto del partigiano cattolico pavese Cornelio Fornasari “Gugia”.


NOTA BIOGRAFICA

Cornelio Fornasari nasce a Cesano Maderno il 27 febbraio 1920 da Filippo e Luisa Rieder.
Vive la sua adolescenza a Ivrea (TO) e si forma nell’Azione Cattolica Eporediese.
Terminati gli studi liceali, si iscrive alla facoltà di Medicina e Chirurgia a Pavia, dove vince un posto al Collegio Borromeo. A Pavia, sotto la guida spirituale di don Antonio Poma, si dedica ad Azione Cattolica e FUCI – Federazione universitaria cattolica italiana di cui è Presidente Diocesano), fonda i “Crociati della Libertà” e “Il Covo” con Don Lino Muzio, don Luigi Gandini, Tullio Del Bo, Teresio Olivelli, Pierfranco Marchetti (suo compagno di lotta partigiana, con il nome Patuski), Giuseppe Calvi, Enrico Magenes, Bruno Fassina, Virginio Rognoni e altri ancora.
Convinto del dovere cristiano di ribellarsi allo straniero invasore, da “ribelle per amore” il 7 luglio 1944 lascia Pavia per raggiungere Ivrea, dove si arruola, insieme al suo amico Pierfranco Marchetti, nelle fila della 76a Brigata Garibaldi “Gallo Battisti”, con il nome di battaglia “Gugia”.
Nella motivazione della Croce al Valor Militare (15 gennaio 1957) si legge: «Nella lotta di liberazione, intrapresa con le formazioni partigiane, si faceva vivamente apprezzare per le belle doti di animatore e di organizzatore. In difficili circostanze forniva prove di audacia e di coraggio distinguendosi particolarmente nel combattimento di Quincinetto e nel corso di arditi colpi di mano nell’abitato di Ivrea».
Terminata la guerra, ritorna a Pavia agli studi di Medicina e si laurea nel 1946.
Dopo un’esperienza all’Ospedale di Ivrea, diventa medico condotto a San Benigno Canavese (TO), poi a Lemie/Usseglio (TO) e infine a Robecco sul Naviglio (MI), fino al 29 luglio 1973, data del suo decesso in Valgrisenche (Valle d’Aosta) per incidente automobilistico.
Così lo ricorda il figlio Pier Maria: «Il papà è stato per noi un esempio di rigore nella fede, di eroismo e di profonda innovazione nella sua professione. Finita la Resistenza, ha subito la delusione di vedersi accantonato dall’arroganza del potere dei partiti politici (tutti da destra a sinistra), insieme a coloro che come lui, con il rischio della vita, avevano ridato la libertà al nostro paese. Ha subito pure la delusione di vedere che, mentre loro si “ribellavano” al nazifascismo, gli altri erano al comodo in Svizzera o in rifugi sicuri e tramavano, anche con i tedeschi e con Luca Osteria (Dottor Ugo, l’agente al servizio del cap. Saevecke che con la sua squadra aveva teso la trappola a Olivelli e Bianchi, ndr), per prepararsi al dopo. A quel punto, la sua reazione è stata di tuffarsi, con tutta la forza di cui era capace, nella professione medica, per aiutare e “curare” la persona umana».

IL DIARIO DI FORNASARI
Il diario di Fornasari mi ha colpito per l’accurata descrizione sia dei fatti che dei luoghi e soprattutto per le motivazioni che lo vide protagonista «nella 76ma Brigata Garibaldi, operante al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta, insieme all’amico Pierfranco Marchetti “Patuski”, con cui condivise l’esperienza di fede in Azione Cattolica, di “ribelle per amore” e, successivamente, di maturità negli ideali». I due amici “Gugia e Patuski”, a cui si ispirarono Fornasari e Marchetti per i loro nomi di battaglia, erano Massimo Del Bo ed Enrico Magenes, entrambi attivi nelle organizzazioni cattoliche pavesi e impegnati prima nella cospirazione antifascista poi nella Resistenza.
Di Fornasari e Marchetti mi aveva scritto, qualche mese prima di morire, Padre Giulio Cittadini, partigiano e sacerdote, appartenente alla Congregazione dei Padri della Pace, “culla” della Resistenza bresciana in una prospettiva cristiana. “Ribelle” al loro fianco, prima di farsi sacerdote, Padre Giulio – in un messaggio telematico inviatomi il 14 febbraio 2018 – definì i due pavesi “coraggiosi combattenti”.

LA RIUNIONE ALLA CHIESA DI SAN CARLO IN CORSO A MILANO DEL 26 APRILE 1944

“La riunione al San Carlo (Chiesa di) in Corso a Milano 26 aprile 1944”, che fa da introduzione al volume, «ci ha permesso di ricostruire come Teresio (Olivelli) trascorse il giorno che precedette il suo arresto, che fu in definitiva l’ultimo per lui come patriota militante, prima che si aprisse il percorso, durante il quale continuò, senza risparmiarsi, a testimoniare e a servire i suoi ideali, che da San Vittore lo avrebbe portato dentro l’orrore dell’universo di Flossenbürg fino ad Hersbruck, dove morì come patriota e martire della Fede.
In quelle pagine Fornasari ricostruisce il convegno che si svolse in una sala di San Carlo al Corso a Milano durante il quale alcuni dei partecipanti, considerati i più autorevoli, già si scontravano su come organizzare nel dopoguerra il movimento politico dei cattolici e sul ruolo che le diverse componenti dovevano ricoprire, sicché Teresio intervenne pronunciando “parole lucide, essenziali, cariche di aggressività e di convinzione”, per ricordare a tutti “che il nostro primo impegno deve essere la lotta per cacciare l’invasore, tutto il resto è di secondaria importanza”. L’urgenza di spendersi per quell’obbiettivo primario che pervadeva le sue parole sottolineava quanto fossero vuote e insignificanti, inutili e anche pericolose, le discussioni che lo avevano costretto ad intervenire. Ma i due giovani che rappresentavano Pavia, uno dei quali era Cornelio Fornasari, furono conquistati dall’intervento di Teresio, così vigoroso, così coerente, così profondamente sentito: “Ecco finalmente un giovane degno di fiducia, che crede sinceramente negli ideali, si dissero tra loro i due amici, sorpresi e attratti dalla forza interiore di quell’uomo e così, sulla scia di un comune ideale, prima l’uno e poi l’altro vollero esprimere la loro adesione alle idee propugnate da Olivelli”. Quello che potremmo chiamare il “santo magnetismo” di Teresio li aveva conquistati» (Giovanni Di Peio, e-mail, 17 aprile 2021).
«Veniva così a delinearsi una corrente di idealità che parlava un linguaggio e proclamava un impegno concreto, in contrasto con quello degli uomini politici, che si battevano a parole, pensando alla conquista di posizioni di privilegio in attesa della liberazione futura, da altri conquistata.
Questo passaggio del verbale dice tutto sulla statura di Olivelli e di Cornelio Fornasari.
E Manzoni ha ragione nel dire che altri invece cercano solo posizioni di prestigio» (Anselmo Palini, e-mail, 16 aprile 2021).

“LA RIUNIONE AL SAN CARLO” E’ REALMENTE AVVENUTA ALLA PRESENZA DI OLIVELLI
Se qualcuno ritenesse di escludere la partecipazione di Olivelli alla “Riunione al San Carlo”, dovrebbe quantomeno dimostrare su che basi asserisce ciò. Così pure se qualcuno sostenesse che Olivelli partigiano fosse solamente occupato nella “formazione”, dovrebbe dimostrare che quanto scritto nel diario di Fornasari non corrisponderebbe al pensiero di Olivelli stesso. Personalmente, come tanti altri, sono convinto che il partigiano Fornasari abbia raccontato il vero e che l’incontro al “San Carlo” sia realmente avvenuto e che la posizione di Olivelli sia coerente con i contenuti a firma “Cursor” sul “ribelle”.

LA RIUNIONE AL COLLEGIO DEI BARNABITI A MILANO NEL GENNAIO 1944
Nessuna biografia consultata dallo scrivente parla della “Riunione al San Carlo”.
Ma già nel gennaio del 1944 Olivelli partecipò a una riunione clandestina che si tenne a Milano, in un’aula scolastica del collegio dei Barnabiti, a S. Alessandro. Solo in due biografie di Teresio si parla di tale incontro dedicato all’esame dei vari modi di presenza nella lotta partigiana. Anche in quell’occasione Olivelli intervenne e «colpì tutti per il calore delle sue argomentazioni: “Ufficiale di artiglieria alpina, era uno dei più convinti sostenitori della resistenza armata”. La precisazione risulta di notevole significato intanto perchè ci fa capire che tra i convenuti non c’era un’identità di vedute sulle scelte della lotta armata, e poi perchè in Olivelli tale scelta sembra principalmente ricollegarsi alla sua condizione di ex ufficiale dell’esercito, di soldato. La resistenza è una guera, una guerra giusta, data l’altissima posta in gioco, e sarebbe inconcepibile pensare di combatterla senza far ricorso alle armi» (Giovanni Di Peio, Teresio Olivelli. Tra storia e santità, Effatà Editrice, 2006, p. 223).

È GIUSTO COMBATTERE LA TIRANNIDE E FORSE UCCIDERE DEGLI UOMINI

«Passando ad una ribellione armata (Cornelio Fornasari) avrebbe dovuto combattere e forse potuto uccidere il nemico, ma pur sempre suo prossimo (creatura di Dio). Questo pensiero aveva dentro di sé Cornelio che decise di andare da don Antonio (Poma), allora rettore del seminario pavese, poi vescovo di Mantova , quindi cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, per confidarsi. “Domattina avrei deciso di raggiungere ì ribelli, ma un’incertezza mi trattiene: dover combattere e forse uccidere degli uomini”. “È giusto combattere la tirannide – rispondeva subito, senza indugio e con decisione Don Antonio – ti faccio un solo esempio: Giuditta che decapita Oloferne”.
Cornelio non s’aspettava una risposta così chiara, precisa ed immediata. Quelle parole gli avevano aperto all’improvviso la mente al mondo dell’Antico Testamento, introducendolo nella vita spirituale. I suoi dubbi erano risolti come d’incanto ed una nuova e vigorosa certezza ormai lo possedeva. Cornelio aveva meccanicamente continuato la confessione, esprimendo le sue debolezze ed i suoi peccati e, ricevendo l’assoluzione, si era accommiatato dal sacerdote. Don Antonio gli aveva stretto la mano forte e, accompagnandolo alla porta, lo aveva salutato: “Coraggio, ti ricorderò ogni giorno nella S. Messa”» (pp. 20 e 21). Ma chi era Giuditta? Vedova ricca, bella, ma soprattutto virtuosa e timorata di Dio e per questo amata dal popolo ebraico, Giuditta riuscì a salvare la propria gente dall’assedio del re assiro Oloferne. Una notte Giuditta si vestì e si recò assieme a una serva presso la tenda di Oloferne, fingendo di voler tradire il suo popolo per consegnarlo al nemico. Oloferne le credette, la invitò al suo banchetto, bevve e si ubriacò. La invitò nelle sue stanze e Giuditta attese il momento giusto per ucciderlo, tagliandogli la testa con due colpi di scimitarra. Dopo averlo ucciso, mise la testa nel cesto delle vivande e tornò, vittoriosa, presso il suo popolo.

RITARDO NELLA PUBBLICAZIONE DEL DIARIO
Circa poi il ritardo nell’uscita del libro, il dott. Pier Maria Fornasari, figlio di Cornelio, ha precisato che «è una nostra colpa, ma a nostra giustificazione tra l’altro c’è stata a difficoltà nel trascrivere la tragica grafia del papà e nell’impaginarlo».

I PARTIGIANI CATTOLICI FURONO UOMINI NELLA RESISTENZA E DELLA RESISTENZA

Dalle pagine del diario di Fornasari balza evidente che la lotta di liberazione è stata una rivolta morale nei confronti di un regime spietato, che ha portato sì a proporre atti caritatevoli e assistenziali, ma ha anche indotto i partigiani cattolici ad agire attivamente nella Resistenza, di certo non per odio e senza volontà di vendetta. Tra questi patrioti, oltre a Fornasari, a Marchetti e a tanti altri, si può annoverare a pieno titolo anche Olivelli che ha operato in qualità di coordinatore delle Fiamme Verdi, informatore, reclutatore, formatore… Pertanto non è affatto vero che nei partigiani cattolici, quindi anche in Olivelli, non fosse mai stato presente un “animus belli” e nemmeno una predisposizione per la vita militare e che in guerra Teresio non fosse eroe delle battaglie, ma solo della carità e che la Resistenza «più che un fatto militare è stato un movimento ideale con contenuto soprattutto morale». Tutti i partigiani cattolici, compreso Olivelli, furono uomini nella Resistenza e della Resistenza, che spronati da una comunanza di nobili ideali e spinti da un consapevole dovere morale non esitarono di imbracciare il fucile per la voglia di libertà, la giustizia sociale, la democrazia e la patria.

 

LA GUIDA MORALE DI GUGIA: UNA RIFLESSIONE SULLA SUA PARTECIPAZIONE ALLA RESISTENZA ARMATA
Nel diario di Fornasari emerge un prezioso tesoro di riflessioni che illuminano gli ideali umani che hanno guidato molti ribelli durante la resistenza armata, impegnati nella difesa dei diritti fondamentali e nella lotta per la libertà contro il giogo della tirannia.
Gugia, figura centrale di questo racconto, si distingue per la sua ferma condanna dei metodi crudeli e sommari di esecuzione, evidenziando la contraddizione nel condannare i fascisti per la loro condotta e poi adottare simili pratiche.
La sua concezione della guerra è caratterizzata da una profonda differenziazione morale rispetto al nemico: egli rifiuta la guerra senza scrupoli e propugna una lotta mirata sul terreno militare, con la convinzione che questo approccio possa portare a risultati significativi.
Per Gugia, il suo coinvolgimento nella resistenza armata è motivato da un senso di dovere morale e dall’urgenza di ribellarsi all’oppressione, una necessità morale che spinge all’azione e alla lotta contro la dominazione tedesco-fascista.
La sua filosofia sulla condanna e sulla punizione riflette una visione umanitaria e orientata al recupero morale, preferendo l’espulsione dalla formazione alla condanna a morte come forma di giustizia.
Gugia e Patuski, fortemente contrari alle esecuzioni sommarie, attribuiscono un’importanza primaria ai valori umanitari, ritenendo che soccorrere un nemico ferito non sia un’azione vana ma un gesto di umanità.
Anche quando l’approccio brutale e subdolo viene abbandonato a favore di una forma più legale di giustizia, Gugia conserva una certa riserva nei confronti di questa impostazione militare, che considera comunque sanguinaria, e nutre la speranza di poter un giorno istituire dei campi di raccolta per i prigionieri, evidenziando la sua ricerca costante di soluzioni umane anche in tempi di conflitto.
Il rifiuto di nutrire odio verso il nemico testimonia la sua determinazione a non scendere al livello degli oppressori, ma piuttosto a mantenere saldo il proprio codice morale anche in situazioni estreme.

CONCLUSIONI
La Resistenza armata dei cattolici fu “«la manifestazione storica concreta dell’amore cristiano in una fase di oppressione e terrore, e nessun credente può presumere di coltivare un’equivoca posizione di neutralità fra il bene ed il male quando i loro contorni sono così netti” (da Il Giornale dei Lavoratori, I cattolici nella resistenza, 19 aprile 2021).
Solo l’Azione Cattolica contò 1.279 soci e 202 assistenti ecclesiastici uccisi. Giovani ispirati dal Vangelo sacrificarono la loro esistenza per un’Italia libera e democratica. Tra essi anche tanti sacerdoti. E tante donne. Con il Vangelo nel cuore, per amore, senza sentimenti di vendetta e violenza gratuita, come il piemontese Gino Pistoni (compagno di lotta di Gugia, ndr), uno dei più celebrati martiri cattolici della Resistenza, con Teresio Olivelli, autore della preghiera dei partigiani composta per la Pasqua del 1944.
«Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore» erano le ultime parole di quell’invocazione olivelliana.
«Ribelli per amore, andava ripetendo e ripensando, Gugia, sorpreso per l’accostamento contrastante di quelle due parole. Ribellarsi e amare, com’è possibile? Alla fine, intuì che quella invocazione finale, strettamente collegata ai pensieri che la precedevano, rivelava il suo intimo significato e si provò a svilupparla. Ribelli per amore di Cristo, sorgente di Libertà e Verità. Si convinse che quello era il motivo vero della sua ribellione e che, a quei principi, doveva conformare tutta la sua condotta».

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