Nel vasto novero delle pubblicazioni che trattano, raccontano, analizzano, spiegano o contestano la Resistenza, in generale ed in particolare, è difficile trovarne anche una sola che riesca a comprendere l’argomento in tutte le sue sfumature ed in modo esaustivo: a fronte di opere di indubbio valore, sia generali (Una guerra civile, di Claudio Pavone; La grande storia della Resistenza, di Gianni Oliva; La Resistenza in Italia, di Santo Peli), sia particolari, tanto nell’argomento complessivo (L’occupazione tedesca in Italia, di Lutz Klinkhammer; L’Italia invasa, di Gianni Rocca), quanto della singola vicenda (La guerra dei poveri, di Nuto Revelli; Il rastrellamento del Grappa, di Enrico Opocher), e di altre di valore più modesto, la vastità dell’argomento e tutte le sue possibili letture e interpretazioni sembrano sfuggire ad una chiara visione d’insieme, definita ed onnicomprensiva. Affrontare per l’ennesima volta le vicende di quelli che Teresio Olivelli chiamò “i ribelli per amore” e dei loro avversari, presuppone inoltre il confrontarsi con ulteriori nodi problematici, inerenti sia a ciò che avvenne durante il conflitto e sia a ciò che ne seguì, per derivarne la linea che collega le vicende resistenziali a quelle della successiva storia della repubblica italiana.
Uno dei nodi fondamentali per chi non si ferma ad una visione superficiale è quello di identificare le diverse correnti della Resistenza, distinguendo le diverse formazioni, le correnti politiche, la resistenza civile da quella militare e da quella degli internati, le varie componenti sociali, arrivando a comprendere perché le formazioni autonome risultarono vittoriose sul piano politico, ma persero la guerra della memoria.
Tra generale e particolare, Tommaso Piffer sceglie qui una prudente via di mezzo, nel trattare l’argomento delle formazioni autonome, forse riduttiva, ma tale da consentirgli, pur navigando a vista e con tutti i limiti, una ricerca scorrevole e fruibile e, al tempo stesso, il più completa possibile: lo fa affidando i singoli saggi brevi contenuti nell’opera a ricercatori legati ai territori e dotati di una conoscenza specifica sulle formazioni che vi agirono. Un “taglio” che porta consapevolmente a ridurre il panorama, sia dal punto di vista geografico che nel numero delle vicende analizzate, ma che permette anche di porre maggiore attenzione sulle formazioni e sui protagonisti esaminati, potendo così ricavare un’opera che non si limita ai tratti generali o alle semplificazioni, ma che cerca di offrire una visione il più possibile articolata, che non nasconde i chiaroscuri e che vuole superare quella vecchia visione di una Resistenza “pulita” che da tempo è stata sconfessata ed attaccata da più parti. Non potendo comprendere singolarmente nel racconto tutte le ventotto formazioni oggi aderenti alla Federazione Italiana Volontari della Libertà, gli interventi ampliano per quanto possibile l’argomento basandosi sulle principali compagini e sui personaggi che ne formarono gli elementi più noti.
Se ne ottiene un libro che sarà utile per capire almeno in parte queste differenze nel breve periodo del 1943-45, fosse pure limitatamente ad una precisa corrente:
[…] la letteratura iper-politicizzata della storia della Resistenza che ha imperversato per decenni ha avuto un costo che va ben al di là della sottovalutazione del contributo delle formazioni autonome. Questa lettura non aveva infatti alcuna possibilità di dar vita a una narrazione collettiva nel quale l’intero Paese potesse identificarsi, e così è stato. A settantacinque anni di distanza dalla fine della guerra, la memoria della Resistenza non solo resta un fatto profondamente divisivo all’interno del Paese, ma mostra sempre meno capacità di suscitare interesse nelle nuove generazioni. (T. Piffer, Introduzione, p.12).
Le formazioni autonome nella Resistenza italiana, a cura di Tommaso Piffer, sicuramente aiuterà a cercare di mantenere viva la conoscenza di un periodo che negli ultimi tempi si sta colpevolmente trascurando.
Denis Vidale