In questi giorni molti hanno scritto di Giannino Piana, scomparso il 2 ottobre scorso a 84 anni. Nato a Ornavasso nel 1939, era considerato tra i maggiori teologi della Chiesa Cattolica; i suoi saggi hanno rappresentato una pietra miliare nella storia della Chiesa e nell’evoluzione della teologia.
Gli amici del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” lo vogliono ricordare non solo come grande teologo, ma anche come semplice studioso che, nella sua profonda cultura e nella sua affermata produzione saggistica, sapeva mettersi in relazione con noi tanto più inesperti e dilettanti nel voler trasmettere e valorizzare la memoria della Resistenza. Così i suoi ricordi personali di bambino diventavano i nostri, così il dialogo diventava memoria, così il Maestro seguiva le allieve nella scrittura, così le nostre conversazioni alimentavano pensieri e in alcuni casi le ipotesi trovavano i riscontri necessari per conferire concretezza agli eventi; così l’aspetto etico, in un momento terribile come la guerra, trovava la sua ragion d’essere.
La sua capacità di ascolto e l’interesse per chiunque lo accostasse erano apprezzate da tutti. La semplicità con cui allargava l’orizzonte degli argomenti trattati attingendo alla sua ampia cultura e brillante intelligenza era un suo tratto distintivo che accanto all’empatia umana nel rapporto ne facevano un vero Maestro.
Grazie Giannino per averci presi per mano ed accompagnati in questo percorso. Grazie per continuare ad accompagnarci con i tuoi scritti. Grazie per essere la nostra stella che brilla nel cielo.
Riportiamo in calce un articolo a firma di Giannino, originariamente pubblicato sul periodico Valtoce in occasione del 70° della Liberazione, il 25 aprile 2015.
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Per una memoria creativa della Resistenza
di Giannino Piana
A settant’anni dalla Liberazione non è facile tracciare un consuntivo di quanto l’antifascismo e la Resistenza incidano oggi sulla coscienza delle persone e sulla conduzione della vita pubblica. La distanza temporale, accentuata dal ritmo accelerato dei cambiamenti strutturali e culturali intervenuti, si fa sentire in misura rilevante. La semplice ricostruzione storica è insufficiente a rendere ragione del significato profondo di “fatti” che rinviano a “valori” – si tratta evidentemente di “valori civili” – che hanno segnato di sé la vita di un popolo. La trama, che lega tra loro gli eventi a cui si allude, è riconducibile a un tessuto etico-culturale, che sembra essersi lacerato nel corso del tempo.
La lotta partigiana, di cui la “Valtoce” fu protagonista, è stata anzitutto una lotta per la libertà. Il rifiuto del fascismo non era soltanto rifiuto di un regime autoritario, di una dittatura politica che si imponeva con la forza bruta, anziché usare le armi della ragione. Era anche (e soprattutto) il rifiuto di una ideologia, di una concezione dell’uomo e della vita incentrata su un nazionalismo esasperato, sulla violenza e sulla guerra come strumenti di conquista e di assoggettamento dei popoli, sul maschilismo e sul culto della personalità e, infine, sull’antisemitismo e sul razzismo.
La libertà, che era al centro di tale lotta, è dunque un valore complesso, che affonda le sue radici nel riconoscimento e nel rispetto della dignità della persona – di ogni persona – in quanto essere unico e irripetibile e, per chi aderisce a una visione cristiana della vita, “immagine di Dio”. Il principio kantiano secondo cui ogni soggetto umano va sempre trattato come “fine” (e mai come “mezzo”) si coniuga qui strettamente con la famosa “regola d’oro” della tradizione ebraica (divenuta in seguito il principio ispiratore anche di gran parte dell’etica laica), la quale recita: “Non fare all’altro quello che non piace sia fatto a te”.
Ma questo non basta. In realtà, proprio per i motivi segnalati, perché la libertà diventi appannaggio reale di ogni persona, essa viene immediatamente connessa ai valori della uguaglianza e della giustizia, della fraternità e della solidarietà sui quali si è ricostruita nel dopoguerra la vita democratica. Pur nella diversità delle posizioni presenti all’interno del mondo variegato della Resistenza – posizioni che si sono spesso anche aspramente scontrate – è indubbio che dalla convergenza attorno a questi valori è nata la Carta costituzionale, che costituisce ancora ai nostri giorni (almeno per la prima parte che ha i connotati di una vera e propria etica pubblica) una pietra miliare per la costruzione di una convivenza civile ordinata e pacifica.
La domanda che nasce spontanea è allora: che cosa rimane oggi di quella lezione di vita? Che significato può (deve) rivestire oggi il messaggio che viene dalla lotta partigiana e che è stato sigillato con il sangue di molti martiri? La risposta non è facile. Non si tratta di riproporre in maniera mummificata un passato che non ritorna (e non può ritornare); si tratta piuttosto di “fare memoria” di esso, ricuperandone il senso – i valori ricordati – e rendendolo attuale attraverso una mediazione creativa. “Fare memoria” significa infatti rileggere il passato a partire dal presente per aprire orizzonti nuovi che alimentino la speranza nel futuro.
Il cammino della libertà e della giustizia, allora iniziato, è ancora lungo e impegnativo. Se infatti è vero che alcune conquiste possono ritenersi ormai acquisite, non è meno vero che molto resta ancora da fare, e che affiorano oggi nuovi pericoli nei confronti dei quali non si può (e non si deve) abbassare la guardia, ma è invece necessario esercitare una severa vigilanza. Le spinte individualiste sempre più marcate, che scambiano la libertà con una forma di libertarismo egoista ed anarchico, la rivendicazione dei diritti alla quale non corrisponde l’acquisizione dei doveri, e infine l’affermarsi della ideologia del mercato, in cui a prevalere sono le logiche utilitariste dell’efficienza produttiva e del consumo, sembrano oscurare la tensione agli ideali della responsabilità e del “bene comune”, che sono la molla fondamentale di ogni autentica crescita umana e di ogni progresso civile.
Tutto questo in un mondo che si è fatto, negli ultimi decenni, più complesso, grazie all’avanzare del processo di globalizzazione, che ridisegna in senso universalistico i confini della vita sociale e politica, determinando l’insorgenza di un pluralismo ideologico, culturale e religioso del tutto inedito, che esige, per essere correttamente compreso e opportunamente governato, la ricerca di una piattaforma valoriale unitaria, frutto del confronto e della interazione tra diversi modelli di civiltà.
La lezione dell’antifascismo e della Resistenza, che appare dunque a prima vista anacronistica, torna ad acquisire, sotto questo profilo, una grande attualità. Non solo perché i valori che essa ha espresso, in quanto discendono immediatamente dalla dignità della persona umana, conservano un carattere assoluto. Ma soprattutto perché tali valori sono la risultante di un processo storico sofferto, che ha contribuito ad affinare gli spiriti e che ha alimentato la fiducia, sia pure passando attraverso il crogiolo di pesanti conflittualità, nella ricchezza delle differenze e nella fecondità di un dialogo animato dalla ricerca della comune umanità.
Rievocare oggi quegli eventi, che hanno consentito al nostro paese di uscire dalla dittatura per riconquistare la libertà e la democrazia, diventa allora (e non può che diventare) sollecitazione a ricordare con riconoscenza chi ha testimoniato con il dono della propria vita la fedeltà ai valori richiamati e impegno a continuare a lottare perché diventino patrimonio universale, e concorrano alla costruzione di un mondo nuovo, pacificato e solidale.