Oggi è l’8 settembre.
Ottant’anni fa, veniva reso noto l’armistizio chiesto dall’Italia agli Alleati anglo-americani, firmato a Cassibile cinque giorni prima, per porre fine ai combattimenti della Seconda guerra mondiale.
L’armistizio, annunciato alle 19:42 con un sibillino messaggio radiofonico del capo del governo Badoglio, che lasciava ampi spazi di ambiguità sul comportamento da tenere, fu subito accolto con sollievo dalle popolazioni civili, prostrate da vent’anni di dittatura fascista e da tre anni di guerra disastrosa. Da esso si sperava di ottenere ciò che prometteva: la fine della guerra, il ritorno dei soldati dal fronte, la fine della fame e delle sofferenze, un futuro di pace.
Ben presto ci si accorse che le modalità confuse e superficiali con cui era stata assunta la decisione e diffusa la notizia sarebbero state perniciose per il futuro dell’Italia. Le forze armate, lasciate senza direttive in patria e all’estero, si sfaldarono; alle prime luci del 9 settembre il re, la regina, il principe ereditario, il capo del governo, due ministri e alcuni generali dello stato maggiore fuggirono da Roma verso Brindisi, lasciando la nazione senza guida, mentre l’ingombrante ex alleato nazista, con l’Operazione Achse, occupava rapidamente i punti nevralgici del paese, soprattutto nel centro-nord, e gli alleati anglo-americani, già sbarcati in Sicilia il 10 luglio, premevano da sud con gli sbarchi in Calabria (già iniziati il 3 settembre) e in Campania (a Salerno, il 9 settembre).
Il disfacimento della nazione, faticosamente unificata nel 1861, era diventato una triste realtà.
Alcuni gloriosi reparti dell’esercito italiano, dislocati nelle isole dello Ionio e dell’Egeo, decisero di resistere alle pretese di resa incondizionata avanzate dai tedeschi: per questo, soldati e ufficiali della Divisione “Acqui” furono trucidati dai tedeschi tra il 23 e il 28 di settembre a Cefalonia, mentre truppe della marina e dell’esercito furono dapprima bombardate e poi passate per le armi dagli uomini della Wehrmacht a Lero, tra il 26 settembre e il 12 novembre.
Con quei coraggiosi e spontanei gesti di resistenza iniziava la guerra di liberazione.
Fin da quei primissimi giorni, anche nelle città e nelle campagne, sulle montagne e sulle colline d’Italia si ridestava e prendeva a organizzarsi un moto spontaneo, via via sempre più consapevole, di uomini e donne «liberi / che volontari si adunarono / per dignità e non per odio / decisi a riscattare / la vergogna e il terrore del mondo», come ha scritto Piero Calamandrei.
La guerra di liberazione, che fu certamente anche una guerra civile, permise – con l’immane sacrificio di vite di partigiane e partigiani – di riscattare la dignità di una nazione ferita e offesa. Con la dura lotta che per quasi 20 mesi lacerò l’Italia, che vide i ribelli e gli alleati anglo-americani schierarsi insieme contro i nazisti e i fascisti repubblichini di Salò, con l’insurrezione generale del 25 aprile 1945, con il referendum costituzionale del 2 giugno e la proclamazione della Repubblica, con l’elezione dell’Assemblea Costituente, la stesura condivisa e democratica della Costituzione repubblicana e la sua entrata in vigore 75 anni or sono, il 1° gennaio 1948, aveva inizio una storia nuova: una storia di dignità, di democrazia, di libertà.
In questo 8 settembre non ricordiamo solo l’anniversario di quei fatti: iniziamo un percorso intensivo di memoria, che ci accompagnerà nei prossimi due anni. Un percorso costellato dalla memoria di eventi terribili e gloriosi, che hanno profondamente segnato la storia dei nostri territori e hanno rappresentato l’atto fondativo di gran parte delle nostre associazioni federate, nate nella continuità morale e ideale di quanti decisero, dopo quell’8 settembre, di ribellarsi per un’Italia più giusta, per una società più libera, coesa e solidale, per una convivenza civile improntata al riconoscimento della libertà coniugata con la giustizia, con la solidarietà e con la democrazia.
Vi giunga pertanto, in questo 80° anniversario dell’inizio della guerra di liberazione, il mio più fraterno augurio di buon lavoro per il cammino che ci aspetta, oggi più di prima, nel proseguire con vigore la testimonianza dei valori della Resistenza e della Costituzione; valori che sono l’antidoto più forte – e che dobbiamo rivendicare, difendere e attuare – contro l’egoismo, il disinteresse, la delusione e anche la rassegnazione verso cui la nostra nazione sembra avviarsi, giorno dopo giorno.
Nella memoria dei valori che guidarono quella ribellione morale sta la chiave per una democrazia migliore: più vivace, più completa, più partecipata, più autenticamente democratica. Nel nome della libertà, che abbiamo ricevuta in dono.
Roberto Tagliani, Presidente FIVL