Il 10 ottobre del 1992, moriva l’avvocato Silvano Silvani, uno dei protagonisti della resistenza osovana, alla quale aveva partecipato con il nome di battaglia di “Sereno”, assumendo incarichi di comando di alta responsabilità. Altrettanto importante fu il suo ruolo nel dopoguerra, quando ricoprì incarichi direttivi sia nella Associazione Partigiani Osoppo che nella Federazione Italiana Volontari della Libertà.
La famiglia Silvani era di origini lombarde, ma Silvano era nato, il 29 maggio del 1907, in quanto il padre Agostino vi era stato trasferito per dirigere il locale Liceo Ginnasio Statale. Successivamente la famiglia si trasferì in Lombardia, sempre a seguito degli incarichi del padre. Frequentò la facoltà di Giurisprudenza all’Università di Pavia, dove conseguì la laurea nel 1932. Nel frattempo svolse anche il servizio militare, con il grado di sottotenente. Nel 1939 si iscrisse all’Ordine degli Avvocati, esercitando la professione.
Nel marzo del 1941 fu richiamato alle armi con il grado di capitano e inviato in Jugoslavia. Nel luglio 1941, venne inquadrato nel 215° Battaglione Territoriale e inviato in Russia. Rientrato dalla Russia nel febbraio 1943, dopo il periodo contumaciale a Tarvisio, venne trasferito al 311° Reggimento per essere di nuovo inviato in Jugoslavia. L’8 settembre 1943, rientrato a Fiume, fu fatto prigioniero dai tedeschi, ma già avviato alla deportazione in Germania, riuscì a fuggire. Prese contatti con la Resistenza a Milano, ma da lì si allontanò per venire in Friuli. Nel settembre 1944, è comandante di Battaglione, per diventare poi dal successivo 1° ottobre Comandante della XV Brigata, operante nella Destra Tagliamento, come minuziosamente riportato nel suo foglio matricolare. Dal 26 novembre 1944 e fino al 1° maggio 1945, lo stesso documento matricolare lo classifica come il Comandante della Quarta Divisione.
Alla fine della guerra di Liberazione, decise di fermarsi a Pordenone, dove riprese l’attività professionale: la rete di amicizie che si era creato lo avevano evidentemente convinto a rimanere in Friuli.
I contatti con il mondo osovano devono effettivamente essere stati molto intensi: lo ritroviamo infatti il 17 maggio 1947 a Udine, presso lo studio del notaio Marzona, per costituire assieme ad altri 24 osovani, l’Associazione Partigiani Osoppo Friuli.
Nel marzo dell’anno successivo, troviamo il suo nome sul manifesto che annuncia la costituzione della Federazione Italiana Volontari della Libertà. Assieme al nome di Silvani, compaiono nomi importanti della storia italiana: Enrico Mattei, Raffaele Cadorna, Eugenio Cefis, Enrico Martini Mauri, Mario Argenton, Giovanni Marcora, Ermanno Gorrieri, Aurelio Ferrando. Per la Osoppo, oltre a Silvani, sono riportati i nomi di Giovanni Battista Marin, Giorgio Brusin e Giovanni Battista Carron. Silvani quindi faceva parte del nucleo dirigente dell’APO e della Fivl, inserito per lunghi anni negli organi direttivi delle due realtà associative dei partigiani autonomi.
Accanto a questi impegni, l’impegno che lo coinvolse maggiormente fu il suo ruolo di avvocato difensore di parte civile per i caduti dell’eccidio di Porzus, per tutto il relativo processo durato dal 1945 al giugno 1957 e svoltosi davanti le Corti di Assise di Brescia e di Lucca, la Corte d’Assise d’Appello di Firenze, la Corte di Cassazione a Sezioni Penali riunite e infine la Corte d’Assise d’Appello di Perugia. Incarico che, tenne sempre a precisare, fu svolto senza alcun compenso.
Nel 1957 si sposò a Udine con Giovanna Plaino, conosciuta nel corso delle attività del processo di Porzus. Risale a quegli anni, il suo trasferimento a Udine, dove aprì uno studio professionale.
Continuò a seguire l’attività della Associazione e, nel marzo 1970, lo troviamo fra i fondatori dell’Istituto Friulano di Storia del Movimento di Liberazione.
Come già accennato, si impegnò a fondo per far conoscere il processo di Porzus, che aveva seguito fin dall’inizio in modo assai approfondito: nel 1983, venne pubblicato il testo della sentenza del 30 aprile 1954 della Corte di Assise d’Appello di Firenze. Il libro, che riportava la prefazione del professor Gianfranco Bianchi, dell’Università Cattolica di Milano, venne intitolato Per rompere un silenzio più triste della morte e fu pubblicato dalla Casa Editrice La Nuova Base.
Il titolo del libro scelto da Silvani, la dice lunga sulla disillusione che aveva preso il sopravvento in quegli anni nell’ambiente della Osoppo. Non poteva essere che così: a Silvani, come a tanti osovani, pareva evidente che di Porzus e della battaglia della Osoppo non si dovesse assolutamente parlare. Forse a qualcuno oggi potrà sembrare una posizione eccessiva, ma il dato di fatto è che la storiografia ufficiale di quegli anni ignorava totalmente quanto era accaduto a Porzus, così come sottovalutava tristemente l’apporto delle formazioni partigiane autonome come la Osoppo.
La morte lo colse nell’ottobre del 1992, certamente rinfrancato, almeno in parte, dalla visita che il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga aveva fatto alle malghe nel febbraio precedente.
Ricordiamo oggi, a trenta anni dalla scomparsa, un coraggioso combattente, oltre che una delle più lucide intelligenze che l’Osoppo abbia avuto.