Sabato 30 novembre, a Pisa, la giunta comunale, retta dal sindaco Michele Conti, ha intitolato alla figura di Odino Pieroni un’importante rotatoria. La scelta dell’amministrazione è stata accolta con piacere da ATVL, che parteciperà all’evento con i labari dell’associazione e con la presidente Simonetta Simonetti, e dalla vicepresidente Patrizia Pieroni (figlia del patriota Odino).
Combattente antifascista, patriota, figura di primo piano dell’Associazione Toscana Volontari della Libertà, Pieroni era nato a Brucciano, piccolo paesino nel comune di Molazzana (Lucca) il 16 maggio 1926 ed è morto a Pisa il 14 luglio 2017. Partigiano cattolico del Gruppo Valanga, Pieroni infatti ha vissuto la guerra in primo piano e da protagonista, combattendo sul Rovaio nella battaglia del 29 agosto 1944 – nella quale morì il comandante Leandro Puccetti – e poi con gli Alleati, tra le fila del Battaglione Autonomo comandato da Manrico Ducceschi “Pippo”.
Odino Pieroni vive la giovinezza e la prima infanzia nel paese natio con madre, sorella e nonni. Il padre, muratore, è quasi sempre assente per motivi di lavoro. Nel 1938 lascia per la prima volta il paese con la famiglia alla volta di Bordighera, dove il padre ha prospettive di lavoro durevole. Qui scopre il vero volto del fascismo quando, in preparazione dell’incontro Mussolini – Franco, il padre con altre centinaia di persone di Bordighera e dintorni fu incarcerato per cinque giorni come sospetto antifascista. Segue, nel 1939, lo sfollamento coatto della città, in preparazione dell’attacco alla Francia. Nel pieno del Secondo conflitto mondiale, nel1943, si reca a Torino, dove il padre era stato trasferito per la costruzione di rifugi anti-aerei. Qui viene assunto in qualità di contabile nella stessa impresa del padre e vi resta fino al 10 Settembre 1943. Nel capoluogo piemontese, vive le convulse vicende dell’8 Settembre, assiste allo sbandamento dell’esercito, alla confusa euforia della popolazione, all’assalto dei magazzini alimentari, nonché alla violenta repressione tedesca. Lasciata Torino, ritorna con il padre al paese natio, con la speranza di riorganizzare la propria vita nell’Italia libera. Le cose, come è noto, andarono diversamente. La ricostituita Repubblica di Salò, in cerca di adepti per continuare la guerra, arriva anche al piccolo paese. Nessuno dei giovani del paese accetta di arruolarsi: nel gennaio del 1944, con il richiamo alle armi dei nati nel 1° semestre del 1926, Pieroni ed altri due coetanei del paese renitenti alla leva, si danno alla “macchia”. Su indicazione del parroco Don Dini Pietro raggiungono il borgo detto “Colle a Panestra”, ai piedi della Pania Secca, dove andava costituendosi una formazione partigiana di estrazione cattolica, chiamata “Gruppo Valanga”, al comando del tenente Leandro Puccetti. Alla formazione, si unirà più tardi un gruppo di una formazione, Stella Rossa, attaccata e dispersa sull’Appennino Tosco-Emiliano.
Nell’estate successiva, la notte del 25 agosto 1944, una pattuglia tedesca in ricognizione, presumibilmente per sondare le difese del Valanga, si imbatte in una postazione di guardia dell’accampamento partigiano, precisamente quella lato ovest; Pieroni era di guardia, insieme ad un compagno, sul lato sud. Nasce una sparatoria che costerà la vita ad un maresciallo tedesco.
Era il tempo della ritirata tedesca, che le notizie davano segnata dal sangue di feroci massacri. La strage di S.Anna di Stazzema del 12 Agosto 1944, raccontata da una pattuglia del Valanga recatasi sul posto, influenzerà le vicende che segneranno la sorte della formazione partigiana. Tali fatti, sommati al vistoso approntamento di postazioni di difesa da parte dei tedeschi, fanno presagire il peggio e ingenerano nella formazione un acceso dibattito sulla opportunità di sganciamento dalla postazione, strategicamente molto scomoda, o rimanere in difesa della popolazione che li stava ospitando. A votazione, prevale la seconda ipotesi.
L’attacco non si fece attendere. All’alba del 29 agosto, la formazione partigiana viene accerchiata e attaccata; il combattimento dura fino alle dodici dello stesso giorno, quando, stremati e con poche munizioni, viene deciso di forzare l’accerchiamento. Il tentativo riesce, ma è pagato con un prezzo altissimo di giovani vittime, tra le quali lo stesso comandante Leandro Puccetti, che verrà poi insignito di medaglia d’oro. Scampato fortunosamente alla morte, leggermente ferito, Pieroni si rifugia con il compagno Trabescan, del gruppo Stella Rossa, in un anfratto roccioso ove restano fino a notte avanzata. Usciti dalla grotta, vagano attraverso boschi, familiari al Pieroni, per evitare postazioni e pattuglie tedesche. Si separano alle prime luci dell’alba, l’uno diretto a Modena e Pieroni al paese natio; altri tre compagni erano rientrati nella notte, dei quali uno gravemente ferito, mentre due del gruppo non vi fecero mai ritorno. Da precisare che il glorioso, tragico evento è ora ricordato sul posto da una piccola chiesetta-rifugio, progettata dal Pieroni e realizzata insieme ai superstiti di Brucciano.
Il gruppo dei superstiti si riorganizza nel versante sud della Pania, al comando di De Maria, già vicecomandante. Pieroni viceversa resta nella casa paterna convinto della imminente liberazione. Il 5 Settembre una pattuglia tedesca accerchia la casa del Pieroni, interroga i familiari separatamente e riserva a Pieroni, che aveva tentato la fuga sul tetto, un trattamento violento per strappargli l’informazione del luogo dove si stava nascondendo Leandro Puccetti, capo dei Partigiani. La fortunata concordanza delle risposte nell’indicare l’unico Puccetti del paese, già “visitato” e scartato come possibile comandante, unita al documento d’identità falsato da Pieroni nell’anno di nascita (1928 anziché 1926) e il nome mitologico Odino, più volte sillabato dall’ufficiale tedesco, portarono alla liberatoria frase “bambino” formulata dall’Ufficiale, alla quale seguì l’allontanamento dei militari.
Nei giorni che seguono, gli avamposti delle truppe alleate giungono a Trassilico, paese prospiciente Brucciano a circa un’ora di cammino. Il 30 settembre, Pieroni raggiunge Trassilico, ove incontra compagni del Valanga già uniti alle truppe alleate. Rifocillato ed interrogato in ordine alle postazioni tedesco-fasciste, viene condotto nell’antica fortezza, ottimo osservatorio per assistere all’aggiustamento dei tiri di artiglieria su Brucciano. Informato dell’imminente martellamento per distruggere il paese, ritenuto un possibile avamposto di difesa del nemico, gli viene consentito di ritornare al paese per avvertire la popolazione del pericolo incombente. Riferisce la notizia al parroco Don Pietro e la notte successiva, con la famiglia, raggiunge nuovamente il territorio già liberato. Brucciano, nei giorni seguenti, verrà evacuato e, in concomitanza con il martellamento annunciato, verrà in parte bruciato dai Tedeschi.
Aggregato alle truppe alleate, Pieroni svolge attività di guida delle pattuglie in ricognizione delle difese nemiche su un territorio sicuramente a lui familiare, ma a rischio di imbattersi in truppe nemiche o di incappare in mine anti-uomo. In contatto con l’unica persona lasciata dai tedeschi a Brucciano ad accudire un disabile, Luisa Venturelli, organizza e facilita il traghettamento nelle linee americane dei numerosi disertori della Monterosa, divisione della Repubblica di Salò, dislocati in prima linea e che con lei si confidavano. Durante le frequenti visite al paese per i contatti con la Venturelli, sfugge sovente, grazie alla perfetta conoscenza dei luoghi, a incontri con le truppe fasciste, fatta eccezione per un’unica volta, fortunosa e importante per le successive conseguenze. Più precisamente, in zona neutra, nella zona di fondo valle dei versanti che dividevano le difese degli opposti schieramenti, nascosto fra le alte piante, c’era un casolare, detto “Olive”, da dove era solito passare durante i viaggi a Brucciano per salutare chi vi viveva: la nonna materna con altri sfuggiti al rastrellamento. Era il tramonto di una grigia giornata dell’ottobre 1944, nessun disertore quel giorno da traghettare, nel casolare le donne preparavano una frugale cena e il Pieroni, nonostante l’invito a trattenersi per la cena, si allontana frettolosamente, temendo di non riuscire a rientrare nella postazione degli alleati; percorre non più di 50 metri e sente un fruscio di foglie secche calpestate ed una serie di perentori inequivocabili comandi; le gambe gli si muovono spontaneamente in una fuga precipitosa; solo nei giorni seguenti, tornando al casolare, scopre che tre uomini della famiglia erano stati prelevati dalle milizie tedesche. Reduce da un combattimento notturno in una postazione repubblichina in località “Il Castagno”, raggiunta nottetempo insieme ad una pattuglia di dodici uomini di colore, sotto il comando di un temerario sergente (notizie in possesso del Comando Americano segnalavano una predisposizione alla resa), accolti invece da un nutrito fuoco di mitragliatrici, si disperdono nel buio della notte e Pieroni, rimasto solo, trova riparo in un mulino abbandonato. La mattina successiva, al rientro nelle fila americane, apprende che la notizia della sua morte era già stata comunicata ai genitori. Constatando poi l’immobilità del fronte, a fine dicembre la famiglia decide di abbandonare il fronte e muoversi alla volta di Pisa. Le credenziali di collaborazione con gli Alleati e l’appartenenza al gruppo Valanga gli faciliteranno ingaggi remunerati nelle retrovie delle truppe alleate.
Al termine della guerra riprende gli studi presso l’Istituto Tecnico per Geometri e si diploma nel 1949 recuperando in un anno i tanti persi. A Pisa troverà lavoro e crescerà con la moglie i suoi figli.