L’età non mi ha consentito di vivere il tempo della Resistenza e di conoscere direttamente i fatti e i personaggi, come Vico che oggi ricordiamo. Non ho avuto l’occasione di partecipare direttamente alle vicende resistenziali, ma l’inizio dei momenti tragici che sarebbero seguiti ebbe a cadere addosso alla mia famiglia quel 9 di settembre 1943. Quando una delle cannonate sparate sulla stazione ferroviaria di Massa, dove sostava un convoglio tedesco, cadde in Via San Remigio di Sotto nel punto in cui si trovava a quel giorno e in quel momento la mia sfortunata sorella undicenne. Fu la prima vittima civile di quelle giornate nella città di Massa. Esse furono anche l’inizio del riscatto, morale e politico degli Italiani, e insieme dolorose e indimenticabili per me e per la mia famiglia.
Il nome del comandante Vico che oggi ricordiamo mi riporta adesso a quei giorni e alle Poste, sede di lavoro di Vico al cui interno lui iniziò la sua attività di partigiano. Perché la sede delle Poste mi ricorda anche che fu lì dove si produsse l’episodio del soldato italiano brutalmente disarmato da un militare della Wermacht, per cui nacque il moto di reazione che indusse Alberto Bondielli ad accendere il fuoco della Resistenza a Massa e che si estese in tutta la provincia.
Noi della seconda generazione, quei fatti li abbiano sentiti raccontare dalla viva voce di chi li visse e abbiamo partecipare alle loro emozioni. Mentre coloro ai quali noi li ripetiamo hanno bisogno di qualcosa in più delle nostre parole, perché sono necessari esempi vissuti, offerti dai narratori e da quanti celebrano le vicende partigiane.
Occorre dimostrare coi fatti che le sofferenze di quel periodo non sono rimaste vane. Che esse hanno contagiato la nostra vita e ci hanno insegnato a dover rispondere con comportamenti di onestà e di fraterna intesa e solidarietà, come quella che vissero i Resistenti e che costò loro sacrifici e sangue.
In questi giorni abbiamo ricordato il centenario della fine della guerra del 15 – 18 e della sua vittoriosa conclusione. L’Italia quella guerra la vinse, guidata da un governo democratico. Una democrazia certamente incompleta: nella quale mancava il suffragio universale e dove quasi metà degli elettori era semianalfabeta o analfabeta del tutto E tuttavia la guerra fu vinta. L’Italia unita allora in solo Stato divenne anche una sola nazione.
L’Italia sotto il Fascismo, privata delle libertà politiche e imprigionata in un regime autoritario e isolazionista, fu portata a decidere e a condurre un’altra guerra, quella degli anni quaranta. Una guerra che divenne mondiale per il numero degli Stati, degli uomini e delle popolazioni coinvolte. E quella guerra fascista l’Italia la perse. I costi e le conseguenze non sono ancora completamente scontati.
Mettiamo anche questa tra le ragioni del nostro antifascismo, quando contrastiamo provocazioni, gesti e rivendicazioni di ancora troppi nostalgici; spesso del tutto inconsapevoli di quello che furono il fascismo e i suoi lasciti negativi.
Giancarlo Rivieri